Dagli inizi del Novecento la fama dei «Paese senza musica» accompagna il contesto musicale britannico ma questa cattiva reputazione è frutto di polemiche e controversie politiche tipiche della vigilia del primo conflitto mondiale, quindi ben poco riferibile allo stato della musica nel Regno Unito. Nel corso di tutto l’Ottocento Londra e la provincia inglese furono segnate da una vita musicale fiorente in un panorama che spaziava dalla musica sinfonica e da camera dell’opera, dalla musica corale alla musica popolare, dalle operette agli oratori. In questo secolo musicisti, filosofi, critici, storici della musica non cessarono di domandarsi se l’Inghilterra fosse un «Paese musicale», e questa domanda riguardava la storia, la presenza e il ruolo della musica nazionale, endogena nel Paese più potente del mondo. Molti intellettuali percepirono la musica fatta in Inghilterra come qualcosa di importato, acquistato all’estero, e cercarono di individuare le cause che impedivano l’affermarsi di una autentica tradizione nazionale. Il volume intende stabilire che proprio il proliferare dei discorsi sullo stato della musica nel contesto britannico dimostra che nell’Ottocento l’Inghilterra era un Paese che univa pratiche musicali e riflessioni coraggiose sul significato, valore e presenza della musica, era dunque un Paese musicale.