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TINA ANSELMI – LA DONNA DELLE RIFORME SOCIALI

ISBN 978-88-8220-348-1 Collane , ,

Prezzo      € 25,00
Autore      Alba Lazzaretto

Anno        2025
Pagine      280

 

 

 

Cattolica, partigiana, donna di lotta e di impegno politico vissuto come “servizio”, Tina Anselmi è rimasta nella memoria degli italiani come simbolo di coraggio e di onestà. Fu la prima donna a ricoprire la carica di Ministro nella storia italiana. Scoprì molti “mali oscuri” della Repubblica e cercò la verità senza mai voltare lo sguardo dall’altra parte. «Per cambiare il mondo bisogna esserci», ripeteva, e Tina Anselmi fu in prima linea a combattere stereotipi e pregiudizi contro le donne, e a contrastare interessi di parte. Promosse importanti innovazioni sociali, come la Legge di parità nel trattamento salariale tra uomini e donne e la Riforma della Sanità. Era vicina politicamente ad Aldo Moro, ma difficilmente catalogabile nelle correnti della Democrazia cristiana. Ironica, testarda, era «capace di ascolto, duttile nel condurre la mediazione, chiara nell’esporre i propri convincimenti» (dalla Postfazione di Renata Micheli). Non abbandonò mai il suo partito, nemmeno quando fu candidata in un Collegio elettorale difficile, da cui uscì perdente nelle elezioni del 1992. In molti avvertirono la sua sconfitta come una perdita per la democrazia e qualcuno le scrisse: «Sarebbe un dono per il nostro paese vederla Presidente della Repubblica». Ebbe sempre a cuore i valori della Costituzione e della Resistenza e ricordò agli studenti nel 2004, quando ricevette la laurea honoris causa a Trento, che la democrazia – dopo essere stata conquistata – deve essere vissuta, difesa, partecipata.

Introduzione

Non è stato facile accostarmi a Tina Anselmi. Gli studi su di lei, le memorie che aveva dettato, me l’avevano certamente fatta conoscere, ma non ero ‘entrata’ appieno nel suo spirito. Percepivo il suo carattere attivo e generoso, la combattività, l’onestà, l’ironia, l’orgoglio delle sue imprese giovanili – dai giochi, agli scherzi, alla lotta resistenziale – e soprattutto apprezzavo la lunga battaglia per i diritti delle donne, ma anche degli uomini, dei diseredati, di tutti. Una donna «senza fronzoli», come l’avrebbero definita le Donne dell’Udi di Omegna, quando fu sconfitta alle elezioni del 1992. C’era davvero da portarle rispetto. Ma da qui a provare empatia, ce ne passava. Solo lo studio attento, certosino direi, delle sue proposte di legge, dei suoi interventi in Parlamento, e soprattutto dei suoi scritti, dei suoi discorsi, mi ha fatto veramente capire ‘chi’ era Tina Anselmi: una donna come poche, intelligente, oltre che tenace, una donna che aveva combattuto tutta la vita per difendere la libertà, la Costituzione e per ottenere – attraverso le leggi – giustizia sociale. Tina Anselmi era una vera ‘statista’, una che vedeva lontano, che considerava la società in tutti i suoi aspetti, che si documentava e studiava prima di parlare, che presentava nei suoi discorsi e nei suoi scritti dati precisi, per far capire con chiarezza quello che voleva dire. Basti solo citare un esempio. Parlando del lavoro della donna – un tema centrale nella sua politica – Tina dava conto di quante ore la donna lavorava alla settimana: 40 ore in fabbrica o in ufficio, e poi altre 31,7 ore in casa: era ‘schiacciata’.  In questo modo Tina Anselmi portava avanti la sua ‘rivoluzione’ sociale: in forma garbata, ma ferma, senza urlare, mettendo davanti agli occhi di tutti la nuda realtà dei fatti. E per ovviare a tutte queste ingiustizie ci sarebbero volute leggi, sussidi, flessibilità di orari, valorizzazione della maternità come bene sociale, che andava difeso, e non penalizzato, come spesso si usava fare. Non erano certo sconosciuti i metodi dei datori di lavoro, che facevano firmare alle donne, al momento dell’assunzione, una lettera di dimissioni che sarebbe divenuta effettiva non appena si fossero trovate in stato di gravidanza. O addirittura facevano fatica ad assumerle se manifestavano anche la sola intenzione di sposarsi! Non poteva più far passare sotto silenzio, Tina, simili ingiustizie.  Ma il suo sguardo si allargava anche al di fuori dell’Italia, partecipando alle Conferenze internazionali delle donne. E allora denunciava le violenze, i soprusi, le mutilazioni a cui erano sottoposte le donne dei paesi del cosiddetto ‘terzo mondo’. Invito a leggere gli scritti di Tina Anselmi, qui pubblicati in appendice, per capire davvero il suo pensiero. Nel Parlamento italiano firmò proposte di legge all’avanguardia per i tempi, come quelle contro la violenza sessuale, per l’obiezione di coscienza, per l’educazione sessuale nelle scuole: leggi spesso bocciate, quando furono presentate, e approvate solo molti anni dopo. Per non parlare delle leggi famose sulla parità dei diritti tra uomo e donna, e sulla sanità, di cui si dà conto ampiamente nel testo. Ma ancora di più mi ha fatto comprendere ‘chi’ fosse Tina Anselmi la lettura attenta di tutti i suoi ‘foglietti’, gli appunti che aveva scritto durante le audizioni degli iscritti nelle liste della P2, e che meritoriamente Anna Vinci ha pubblicato.  La sua perspicacia, la sua ironia, il suo coraggio sono racchiusi tutti in quegli scritti. Le ‘fonti’ dunque mi hanno offerto la chiave di lettura per capire chi era Tina. Così mi insegnavano gli storici dell’Università di Padova: bisogna ‘far parlare le fonti’. E dalle fonti, dalle centinaia di lettere che gli italiani scrissero a Tina quando non fu più rieletta al Parlamento, ho potuto capire di quanta stima fosse circondata. Per questo ne ho riportate parecchie, a stralci o per intero: perché i lettori di questo volume sappiano che molti italiani avrebbero voluto Tina Anselmi come Presidente della Repubblica. Ma i tempi non erano ancora maturi. Speriamo che anche questa storia, questo tentativo di scrivere una biografia di Tina Anselmi, pur lacunosa e con i difetti di cui chiedo venia, serva a rendere effettiva quella parità per le donne per cui Tina si è sempre battuta, e che sta scritta sulla carta, ma non nella vita di tutti i giorni.

 

Postfazione

Circa tre anni fa chiesi alla professoressa Alba Lazzaretto, docente di Storia contemporanea all’Università di Padova, di scrivere per la collana del Cif “Donne nella storia” (Prometheus Editrice, Milano) un libro su Tina Anselmi, tra i più importanti personaggi della storia politica del nostro Paese. Conoscevo bene la passione di Alba Lazzaretto per la ricostruzione storica della vita delle donne, ma anche l’acribia con cui negli anni aveva raccolto una fitta documentazione sulla vita di Tina Anselmi, che si arricchiva ogni volta che era chiamata in conferenze o incontri a parlare di lei, di una donna che incarna appieno l’impegno dei cattolici in politica: un impegno che, in molti casi, ha attraversato tutta la storia della prima Repubblica e anche quella della Chiesa: furono anni di ricostruzione morale della vita nazionale, dopo la parentesi ventennale del fascismo e poi della ventata rinnovatrice del Concilio Ecumenico Vaticano II. Ciò che mi spingeva a chiedere ad Alba Lazzaretto questo ulteriore impegno, era dettato soprattutto dalla coincidenza, per non dire sovrapposizione storica, della vita di tante donne di grande valore. Tra di loro Alda Miceli,495 Presidente del Centro Italiano Femminile dal 1962 al 1980, che fu anche alla guida del collegio femminile “Marianum” dell’Università Cattolica di Milano. Miceli, insieme ad Armida Barelli, aveva formato generazioni di donne cattoliche all’impegno nel sociale, spazio in cui dispiegare quella virtù tutta cristiana che definisce la politica come «la più alta forma di carità», secondo la felice espressione di Papa Pio XI. Questi, indicando alle donne cattoliche la via dell’impegno in politica, mostrava la strada della vera “rivoluzione”, nella convinzione che proprio la politica esemplifichi tutte le forme in cui si esprime con più forza la presenza nella società. Nel discorso pronunciato il 18 dicembre del 1927 ai dirigenti della Federazione Universitaria Cattolica, il Santo Padre Pio XI affermava: «È tale il campo della politica, che riguarda gli interessi di tutta la società, e che sotto questo riguardo è il campo della più vasta carità, della carità politica, a cui si potrebbe dire null’altro, all’infuori della religione, essere superiore».496 E aggiungeva: «Tutti i cristiani sono obbligati ad impegnarsi politicamente». A queste parole fecero eco quelle di Papa Pio XII, rivolte alle 15000 donne dell’AC, del CIF, delle ACLI, della DC appena costituita, con una sottolineatura riguardante la uguale dignità di donne e uomini nella sfera pubblica. Concetti che contraddicevano apertamente la simbologia femminile fascista, centrata nella figura di madre e sposa, il cui compito sociale più importante era quello di procreare e allevare figli sani e disposti a sacrificarsi per la patria. L’emancipazione consisteva nel rendere servizio, anche attraverso la dimensione pubblica, al regime e alle sue direttive. Le scelte di vita di Tina Anselmi si inseriscono in questo contesto, ma anche quelle di tante altre donne che le furono compagne di strada e di “ventura” in un periodo particolarmente difficile, se consideriamo il sospetto che accompagnava l’impegno delle donne fuori dalle mura domestiche. Donne come Tina, che aveva scelto non il matrimonio come destino personale ma piuttosto di trascorrere la sua vita, facendo la spola tra Roma e Castelfranco Veneto, lontana dalla casa paterna, per dedicarsi all’impegno politico. Molte le donne con le quali condivise sentimenti, passioni, lotte, sconfitte, amarezze per un traguardo non raggiunto e gioia per uno raggiunto: cattoliche e laiche, del suo partito e anche dell’altra Chiesa, come era considerato allora il PCI. Filandine, cioè operaie negli stabilimenti della seta, delle quali conosceva il duro mestiere, contadine con cui aveva vissuto tanti “filò”; poi artigiane, operaie, professioniste: tutte animate dalla stessa passione per il cambiamento e per la costruzione del nuovo, dallo stesso amore per la libertà riconquistata, dalla stessa tenacia che le aveva viste in prima linea nella lotta partigiana e poi in coda l’una accanto all’altra per il primo voto. Quante scale ha salito la Nostra e quante ne ha discese! Scale dei palazzi vaticani e dei palazzi della politica nazionale ed estera, le scale metaforiche delle iniziative vinte e quelle scoscese delle iniziative perse, le scale di un pensiero altro che conduce in un altrove ancora sconosciuto, ma che con tenacia si insegue. ‘Gabriella’ fu il nome di battaglia della Nostra quando decise di diventare partigiana, ancora studentessa, in omaggio all’arcangelo Gabriele che, ai vertici della schiera angelica, si fa tramite della voce di Dio e porta i suoi messaggi sulla terra. A dirigerla era stato l’ardore per la giustizia, guidata – come scrive lei stessa – da un «misto di istinto e ragione». Eccola allora nei palazzi del potere, ove con la sua figura gagliarda spiccava anche per lo stile di abbigliamento che la caratterizzava subito come “veneta”, distinguendola come donna che subito si era fatta notare per il suo impegno e la sua capacità di lavorare insieme alle altre parlamentari, della Dc e non: molte di queste donne erano nubili, e Giulio Andreotti l’aveva ironicamente definita quale «virgo potens», secondo quanto ci riporta Tiziana Noce.497 Della virgo potens, in verità, nella accezione positiva di questa definizione, cioè di colei che agisce nella storia da protagonista, Tina aveva lo sguardo fermo e deciso mentre il sorriso sapeva, con un moto repentino e quasi impercettibile, cambiarne l’espressione del volto. Capace di ascolto, duttile nel condurre la mediazione, chiara nell’esporre i propri convincimenti, non ideologica sebbene l’interlocutore sapesse quale fosse la linea invalicabile da non superare. Mi piace ricordare due episodi, sebbene minori, che possono però, al pari di tanti altri, rimandarci l’immagine di una persona che non aveva mai perduto il senso del limite. Il primo me lo ha riferito Rosa Russo Jervolino. Riguarda un episodio della guerra partigiana del quale furono protagonisti Tina Anselmi e il padre, anch’egli antifascista. Nella notte tra il 28 e il 29 aprile 1945, mentre le truppe tedesche stavano abbandonando finalmente Castelfranco Veneto, la nostra giovane partigiana stava pattugliando le strade del suo paese in cui vigeva il coprifuoco: all’improvviso si imbatte in un’ombra appesantita dal cappotto col bavero rialzato per sfuggire al rigore della notte e allora, come da comandi ricevuti, Tina impone allo sconosciuto, che era totalmente nell’ombra, il classico “altolà”. Lo sconosciuto si ferma e Tina, puntandogli la pistola alla nuca, lo costringe a recarsi verso il posto di controllo: ma quale fu la sua sorpresa quando… si accorse di aver praticamente arrestato suo padre che la stava cercando, non trovandola a casa! Fu allora che Ferruccio Anselmi si rese del tutto conto di aver avuto in casa una partigiana, che aveva compiuto tante pericolose missioni all’insaputa della famiglia. Del resto al padre antifascista non dovette sembrare poi tanto sorprendente la scelta della figlia, perché in linea con i valori sociali e civili sempre coltivati in famiglia. Il secondo episodio, anch’esso minore, chiarisce il senso che Tina, sin dall’adolescenza, aveva voluto imprimere alla propria vita. A Castelfranco un notabilato laico e anticlericale di proprietari terrieri guardava con sospetto e preoccupazione alle crescenti rivendicazioni di giustizia sociale che si manifestavano tra i lavoratori della terra soprattutto nel primo dopoguerra quando, in tutto il Veneto, si andavano organizzando scioperi e agitazioni popolari. Nascevano le prime organizzazioni sindacali e con esse le prime agitazioni, sintomo di un malessere profondo che agitava le masse. La Chiesa è in prima linea nella formazione delle coscienze e in quel piccolo mondo antico Tina, grazie ai maestri, ai personaggi che popolavano l’osteria della nonna, alle prediche del parroco, ai principi associativi della Gioventù femminile di Azione cattolica, forma il suo carattere, decide l’impegno a favore dei più deboli, costruisce il bagaglio di quei principi che mai l’abbandoneranno. Con alcune studentesse di Azione cattolica crea una biblioteca per le operaie che lavoravano nello stabilimento Marnati-Larizza di Castelfranco, dove si produceva materiale bellico. Le operaie due sere alla settimana potevano prendere in prestito «vite di santi, biografie di uomini illustri, classici della letteratura italiana e straniera e romanzi rosa, che andavano per la maggiore». Tina, sebbene giovanissima, aveva già intuito quei principi che avrebbe poi messo in pratica don Milani: «La parola è la chiave fatata che apre ogni porta. [….] Quando il povero saprà dominare le parole come personaggi, la tirannia del farmacista, del comiziante e del fattore sarà spezzata. Un’utopia? No. E te lo spiego con un esempio. Un medico oggi quando parla con un ingegnere o con un avvocato discute da pari a pari. Ma questo non perché ne sappia quanto loro di ingegneria o di diritto. Parla da pari a pari perché ha in comune con loro il dominio della parola. Ebbene a questa parità si può portare l’operaio e il contadino senza che la società vada a rotoli. Ci sarà sempre l’operaio e l’ingegnere, non c’è rimedio. Ma questo non comporta affatto che si perpetui l’ingiustizia di oggi per cui l’ingegnere debba essere più uomo dell’operaio (chiamo uomo chi è padrone della sua lingua). Questa non fa parte delle necessità professionali, ma delle necessità di vita di ogni uomo, dal primo all’ultimo che si vuol dir uomo».498 Tutto nella vita di Tina sembra precipitare verso l’impegno di parlamentare, di ministro e di presidente di varie, impegnative Commissioni. Tutto contribuisce a vivificare l’art. 3 della Costituzione: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Grazie alla politica occorre trasformare la virtù della carità nel principio politico della solidarietà. Tina incrocia più volte nella sua attività di parlamentare la storia del Centro Italiano Femminile e quella della Presidente Alda Miceli, soprattutto nella stagione che precede e prelude alla legge sul Diritto di famiglia, a quella sui Consultori e a quella – tutta giocata in primo piano dalla Anselmi – della istituzione del Servizio sanitario nazionale. Insieme al costituzionalista Nicolò Lipari e al giurista Carlo Moro, nella sede del CIF Nazionale, Alda Miceli metteva intorno a un tavolo Tina Anselmi, Maria Eletta Martini, Rosa Russo Iervolino, Franca Falcucci, per preparare le riforme che avrebbero cambiato il volto del Paese: dal Diritto di famiglia ai Consultori, dai servizi sociali alla legge Basaglia che chiuse i manicomi. Donne di un altro tempo – si dirà – delle quali a volte ci sfuggono nomi e volti. Ma donne che seppero eludere e superare gli steccati ideologici, per incontrarsi in un confronto alto con quelle del PCI: prima fra tutte Nilde Iotti, che propose Tina Anselmi quale Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta P2. Donne che avevano trovato nell’UDI – così come accadde per il Movimento Femminile della Democrazia Cristiana – quello spazio tutto al femminile che preparò tante e tante protagoniste della prima Repubblica, in una storia segnata dalla nascita e dalla ricostruzione dei corpi intermedi. Dopo le tragedie delle guerre e dei totalitarismi del XX secolo, la ripresa della democrazia ha riconosciuto con chiarezza il ruolo interpretato dalle formazioni sociali nello sviluppo della personalità. Non solo tra gli studiosi, non vi è chi non riconosca nel pluralismo associativo il principale ambito di partecipazione sostanziale alla vita politica nonché il più efficace antidoto al burocratismo delle istituzioni, talvolta percepite come ambiti di potere impersonale. Dovremmo ricominciare a riflettere sulla qualità stessa del nostro vivere civile, sulla qualità e sul valore dei corpi intermedi che costituiscono la trama e l’ordito del quadro istituzionale delineato dalla Costituzione. Si tratta ancora una volta, come nel dopoguerra, di riconoscere che la democrazia è quella forma di governo che consente l’esercizio e la responsabilità politica di tutti i cittadini mediante la partecipazione nelle forme previste dalle leggi. L’emersione dell’associazionismo incrocia la storia delle “due Chiese”, come vennero definite il PCI e la DC. Il primo orientato alla dialettica marxista-leninista, con quanto ne consegue riguardo ad alleanze internazionali e visione della società, la seconda gravitante intorno alla Chiesa, con le sue strutture, i suoi dogmi, la visione della società che si era venuta delineando dopo il magistero di Leone XIII e che trovò in San Pio X il fedele prosecutore. Queste condizioni di contesto trovano nel voto femminile il loro caleidoscopio, tanto che la stessa rinascente riflessione delle donne e dei movimenti femminili – che cercavano con passione e generosità i punti di riferimento del rapporto donna/libertà politica, donna/democrazia – faticherà più di un decennio per recuperare un rapporto pacificato con la politica, ancorata al terreno delle appartenenze alle grandi famiglie ideologiche. Pietro Scoppola definisce questa fase della nostra storia repubblicana «Repubblica dei partiti», in cui si determinò un nuovo e peculiare rapporto tra politica e società, fra governanti e governati, tra ideologia e potere. Con la crisi prima, e poi la fine dei due grandi partiti di massa sotto i colpi delle inchieste di Mani pulite, nel biennio ’92-’93 termina la cosiddetta Prima Repubblica, inizia la depoliticizzazione della società con il declino del tradizionale modello partitico e delle culture politiche di appartenenza. A questo si aggiunge il vento dell’antipolitica che esautora di peso e significato i rappresentanti e i candidati alle elezioni, scelti non più per competenza e formazione, ma per cooptazione o abilità nel saper sfruttare le regole del marketing applicate alla politica. I partiti liquidi, la politica polverizzata in seguito alla frammentazione degli interessi. Tra le donne protagoniste, e non di secondo piano, del tornante della storia che rimanda alla Costituente e alle prime elezioni libere del Paese, un posto di rilievo è occupato da Tina Anselmi. Alla quale le donne debbono tutta la loro riconoscenza. E questo libro, ripercorrendo tutte le fasi della sua vita, dalla formazione giovanile, alla scelta resistenziale, all’impegno nella politica – vissuta sempre come “servizio” e anche come lotta, a volte molto dura, per difendere e mettere in pratica i principi fondamentali della nostra Costituzione – le rende l’onore e il ricordo che questa “grande” donna merita nella storia del nostro Paese.

Renata Micheli Presidente Nazionale CIF

495 Cfr. Ernesto Preziosi, Alda Miceli. Una donna protagonista del Novecento. Per una biografia, Prefazione di Renata Natili Micheli, Prometheus, Milano 2022.

496 In «L’Osservatore Romano», 23 dicembre 1927, n. 296, 3, coll. 1-4.

497 Cfr. Tiziana Noce, voce Tina Anselmi, in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2020.

498 Lettera di Don Lorenzo Milani del 28 marzo 1956 al direttore del «Giornale del mattino» di Firenze, Ettore Bernabei, in cui spiega il significato dell’istruzione, in Domenica Bruni, Lingua e “Rivoluzione” in Don Milani, «Quaderni di Intercultura», IV (2012), Università di Messina.

 

AlbaLazzaretto, già professoressa di Storia contemporanea all’Università di Padova, ha ricoperto vari incarichi istituzionali, tra cui Presidente del corso di laurea in Scienze politiche, studi internazionali ed europei e Direttrice del Centro per la storia dell’Università di Padova. È Accademica Olimpica, Vicepresidente dell’Istituto per la Storia della Resistenza e dell’età contemporanea di Vicenza e fa parte di Comitati scientifici di vari istituti di ricerca storica. Si è occupata di storia sociale e religiosa, storia politica, storia culturale e dell’università. Tra i suoi studi: Vescovo clero parrocchia. Ferdinando Rodolfi e la diocesi di Vicenza 1911-1943, Vicenza 1993; Il governo della Chiesa veneta tra le due guerre. Atti e documenti delle conferenze episcopali venete e trivenete (1918-1943), Padova 2005; Bianco fiore e camicia nera. L’Azione cattolica vicentina negli anni del fascismo, Padova 2010; Giulio Alessio e la crisi dello Stato liberale, Padova 2012. Ha curato con G. Simone: Dall’università di élite all’università di massa. L’Ateneo di Padova dal secondo dopoguerra alla contestazione sessantottesca, Padova 2017. Nei suoi saggi ha affrontato vari temi, tra cui il rapporto tra docenti e terrorismo nell’Ateneo patavino, il femminismo cristiano di Elisa Salerno, la formazione delle masse cattoliche, il “Parlamento interalleato”, sorto durante la Grande Guerra. Attualmente sta curando, con M. Cenzon e P. Pozzato, una Storia della Resistenza vicentina. 

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