LA SAGA NORVEGESE DI TEODERICO DI VERONA

ISBN 978-88-8220-311-5 Collana

Prezzo    € 45,00

Autore    Veronka Szőke 

Anno       2022

Pagine    544

Personaggio per molti versi archetipico, Teoderico di Verona ha vissuto una doppia vita: quella della figura storica che ebbe ruolo nella vicenda della penisola italiana al passaggio dall’Età antica al Medioevo (e poi, durante l’Ottocento, immortalato dai versi del Carducci: “Su ’l castello di Verona / batte il sole a mezzogiorno”), e quella dell’eroe esule cantato nelle leggende e nei componimenti poetici medio-tedeschi, in costante attesa di una buona sorte che rifiuta di arridergli. Forse per bocca dei mercanti che percorrevano le rotte anseatiche, i racconti che riguardavano Dietrich – conosciuto al Nord come Þiðrekr – giunsero fino al vivace ambiente commerciale di Bergen e della corte reale, che cercava nuovi e più raffinati modelli culturali, ispirandosi alla letteratura cortese in voga a quel tempo. Da questo incontro nacque la Þiðreks saga af Bern (La saga di Teoderico di Verona), che narra di Þiðrekr/Teoderico, con le sue luci e le ombre, spogliato dei cliché entro i quali la tradizione tedesca aveva finito per confinarlo: allo stesso modo di personalità quali quelle di Artù e Carlo Magno, egli attrae nel tempo una cerchia di compagni formata da valorosi protagonisti della tradizione germanica. La Saga, qui per la prima volta tradotta in lingua italiana, lo dipinge non tanto per le virtù eroiche quanto – e in ciò consiste l’attualità del componimento – per l’accidentato percorso di vita: la maturazione, poi la vecchiaia, fino al giorno estremo; vita segnata da giovanile avventatezza, dalla perenne ricerca di avventure, dalla pratica della vendetta. Come un autentico personaggio delle antiche saghe nordiche.

 

Veronka Szőke insegna Filologia germanica all’Università degli Studi di Cagliari; la sua attività di ricerca si è orientata verso la poesia inglese antica, la prosa nordica e le istituzioni del Medioevo tedesco, con particolare riguardo al duello come prova ordalica (Il duello giudiziario germanico tra diritto e letteratura, Cagliari, CUEC, 2007). Ha fatto parte del gruppo di ricerca Isole, curando il volume Isole settentrionali, isole mediterranee. Letteratura e società (Milano, Prometheus, 2019), in cui ha pubblicato il saggio A representation of islandness: the case of Guta saga ‘The history of the Gotlanders’.

 

Informazioni aggiuntive

Scheda

La “Saga di Teoderico di Verona” (in norreno, Þiðreks saga af Bern) è un’opera in prosa, redatta in Norvegia intorno al 1250, che offre una tangibile testimonianza di come la letteratura sappia appropriarsi di alcune figure storiche e possa loro conferire una ‘seconda vita’ ambientandone le vicende in epoche diverse o in ambienti culturali nuovi. Protagonista della Saga è, infatti, la proiezione leggendaria, nel lontano Nord, del re ostrogoto Teoderico, che resse le sorti del regno d’Italia per tre decenni (493-526) e di cui si narra l’intero percorso di vita, dalla prima giovinezza fino alla misteriosa scomparsa, in vecchiaia, in groppa a un destriero demoniaco.
Il sovrano, già citato in alcuni dei poemi più antichi della tradizione germanica, arriva a ricoprire ruoli di primo piano in una serie di componimenti medio-tedeschi, che di lui restituiscono un’immagine sdoppiata: alcuni lo ritraggono nelle vesti di monarca spodestato a seguito delle trame dello zio Ermanarico, esule per un trentennio presso Attila – qui nell’insolito ruolo di re magnanimo e ospitale – e in costante attesa di una buona sorte che rifiuta di arridergli; altri, invece, ne fanno il prototipo dell’eroe capace di misurarsi finanche contro avversari straordinari: giganti, nani e mostri antropofagi.
Nel Nord, questa ampia costellazione di storie, conosciute forse per bocca dei mercanti tedeschi che percorrevano le rotte anseatiche, rifluì in una singola e monumentale opera dall’evidente carattere composito, prodotta nel vivace clima economico e culturale che nel XIII secolo animava la prospera città di Bergen, sede della corte di Hákon IV Hákonarson (1217-1263), interessato alle mode letterarie in voga a quel tempo e, in particolare, estimatore della letteratura cavalleresca di ambito francese.
Gli anonimi compilatori della Saga hanno rappresentato Teoderico (ovvero, Þiðrekr) alla stregua di un Artù o di un Carlo Magno, personalità magnetiche in grado di attrarre una serie disparata di eroi accomunati dall’ambizione di guadagnarsi un buon nome entrando a far parte della cerchia ristretta dei loro campioni: fra quanti convergono verso la corte di Bern (la Verona storica), personaggi di estrazione tedesca si mescolano a campioni locali (per lo più danesi), cui nel corso della narrazione vanno ad aggiungersi eroi leggendari quali Sigurðr-Sigfrido e i nobili fratelli Gunnarr e Högni, appartenenti al ciclo nibelungico (il Walter e l’Hagen della Canzone dei Nibelunghi). Tuttavia, nonostante i ripetuti richiami alla fama di cui gode Þiðrekr, non è sempre lui a occupare il centro della scena, né il suo agire è dettato, in ogni occasione, da coraggio e alti intenti. Dalle fonti meridionali, il protagonista della Saga ha ereditato una certa riluttanza a essere coinvolto in imprese guerresche, il che lo pone talvolta in secondo piano rispetto ai più motivati e combattivi giovani – espressione di una società in fermento qual era quella norvegese – alla ricerca di un successo che consenta loro di affrancarsi dall’ambiente di origine e dalla prospettiva di subentrare ai padri nelle occupazioni tradizionali, senza possibilità di avventurarsi nel vasto mondo esterno.
Il nuovo che avanza fa sì, inoltre, che le storie tradizionali vengano riformulate nella Saga in accordo con i gusti mutati e i differenti valori che si andavano affermando, subendo significative alterazioni che investono trama, scenari, motivazioni, nonché la psicologia stessa degli attori. L’esempio più eclatante è costituito da una lunga e godibilissima digressione inserita al momento di presentare l’aspirante cavaliere Viðga, nella quale si dà conto delle rocambolesche e drammatiche vicende attraverso le quali il padre, un intraprendente e astuto fabbro di nome Velent, riesce a scalare i vari gradini della società; dopo una serie di appassionanti colpi di scena, che minacciano di annullare i traguardi conseguiti, egli si vedrà reintegrato nella propria posizione e concluderà la parabola esistenziale con il più classico dei lieto-fine, sposando la figlia del re e generando un erede, Viðga, che diventerà uno degli eroi più valenti del suo tempo. Ben diversamente questo fabbro era rappresentato nelle fonti antiche, dove compare come tragica figura dai contorni mitico-leggendari, circondato da un alone di mistero e restio a frequentare il consorzio umano dopo avere subìto un grave torto, a seguito del quale spenderà tutte le sue energie nel concepire in solitudine una feroce vendetta che, una volta attuata, produrrà una vera e propria catastrofe, a compiacere i gusti di un pubblico evidentemente assai diverso da quello della Saga.
Nell’opera non mancano episodi connotati da efferatezza, o nei quali la fantasia, anche macabra, gioca un ruolo predominante; ma ciò che fa la differenza è una nuova modalità di narrazione: l’uso iperbolico e cumulativo di tratti destinati a impressionare o a stupire, infatti, solo di rado costruisce – né d’altronde questo rientra nei suoi scopi – un autentico climax drammatico.
Prerogativa della Saga è quella di offrirci episodi inediti riguardanti alcuni dei suoi protagonisti. Questo vale, ad esempio, per il resoconto della morte del re Attila, il quale, ormai vecchio, viene attirato nel ventre di una montagna dal giovane erede del nibelungo Högni – che lo aveva concepito in punto di morte per affidargli il compito della vendetta – con la scusa di mostrargli il tesoro dei Nibelunghi che lì giace ammucchiato; una volta condotto il re nella parte più interna della grotta, il ragazzo guadagna velocemente l’uscita, blocca l’ingresso con un macigno e condanna Attila a una lenta e dolorosa agonia.
Nella parte centrale della Saga, le sorti militari di Þiðrekr volgono al peggio ed egli perde le proprie terre: si apre così per lui una lunga parentesi di esilio trascorsa presso Attila, il cui regno viene collocato nella Germania settentrionale. I frequenti conflitti con i vicini orientali, ai quali Teoderico prende parte, sono l’occasione per mostrarlo più attivo e disposto a imbracciare le armi di quanto non fosse in gioventù, e intenzionato a riconquistare i domini perduti. Diversamente da quanto si verifica nei poemi meridionali, dove egli non sfrutta i successi ottenuti sul campo condannandosi a un esilio senza fine, nella Saga riesce a fare ritorno a casa e a riprendersi la corona, ma l’evento non prelude a nuovi fasti: la morte, in rapida successione, dei compagni di un tempo svuota progressivamente la scena intorno a lui e condanna il sovrano, vecchio e privo di eredi, a una disillusa solitudine parzialmente alleviata da avventure che ricalcano, ma svuotate di pathos, quelle della giovinezza.

La traduzione italiana della Saga consente ora a un vasto pubblico di accedere a un testo letterario che può rivestire interesse per molti: sarà una piacevole lettura per gli estimatori della materia eroico-leggendaria del medioevo germanico, per chi sia attratto dalle particolari atmosfere del mondo nordico, come pure per quanti nutrano interesse verso Teoderico di Verona, qui divenuto un personaggio caratterizzato da luci e ombre, spogliato dei cliché entro i quali la tradizione tedesca aveva finito per confinarlo. Non ultimo, la Saga offre un ricco campo di indagine sotto il profilo narratologico per via della sua complessa struttura, all’interno della quale il tema principale, ovvero la vita e le imprese di Þiðrekr di Bern, si intreccia con una serie di racconti secondari, creando soluzioni che anticipano, in parte, gli intrecci del romanzo moderno.