«Il modo migliore per lasciare qualcosa, che da sempre hai vissuto, è salutarla come se potessi incontrarla ancora una volta, pur sapendo di perderla per sempre. Volevo scrivere un ricordo, imprimere la mia traccia su questo mondo tanto odiato, ma che da sempre amo, amo da morire. Lascio, dunque, ad esso l’impronta di ciò che sono stata, la fotografia del mio pensiero, affinché possa accompagnarne i dolori, accarezzarne i sospiri, confortarne le paure, per renderlo partecipe delle mie. […] E così decisi di conoscere il tempo: il tempo di oggi che sveglia il mattino, per poi affacciarsi all’uscio della sera e diventare sempre più grande, quando crescono le ombre della notte e noi diventiamo sempre più piccoli, fino a confonderci tra i profili delle case, che osservano da lontano l’infinito di quelle ore che addormentano il silenzio. Imparai a non consumarmi dietro all’ondeggiare delle lancette, che dividono le giornate in secondi, per non lasciar posto alla vita. Ed ecco che solo allora poteva arrivare il futuro, poteva farsi largo tra i pensieri quell’immagine scolorita di una vita fatta dei minuti che vivono solo nel perdersi del giorno, che non si annullano nell’eterno finito del tempo».