CERCO IL TUO VOLTO, SIGNORE

ISBN 978-88-8220-317-7 Collane , ,

Prezzo    € 12,00
Autore    PAOLA MERONI
Anno       2023
Pagine    72

Paola Meroni, originaria di Novate Milanese (MI), vive a Rovello Porro (CO). Insegna Lettere nella Scuola secondaria di II grado. Ha pubblicato le raccolte di poesie: Sulla sabbia ho scritto il mio cuore, Albatros, 2010; Il prezzo della vita, Aletti Editore, 2014, nella collana “Parole in fuga – Poeti del Nuovo Millennio a confronto”; Versi nascosti, Ladolfi Editore, 2017, raccolta premiata nel concorso “Atelier-Vent’anni di poesia”. Ha pubblicato anche il romanzo, Un anno con Zeta, Giovanelli editore, 2021, con illustrazioni di Francesco Pagani. La raccolta poetica Cerco il Tuo volto, Signore ha vinto il II Premio per una silloge inedita al “Premio Internazionale Centro Giovani e Poesia – Triuggio 2023”.

 

LA SVOLTA SENZA RITORNO di Maria Luisa Eguez

I rabbini sostengono che i libri sacri, dal momento che contengono la Parola di Dio, “sporcano le mani”. L’espressione d’acchito può stupire. Ma cosa vuol dire anche nella lingua corrente l’espressione “sporcarsi le mani?” È l’esatto contrario di quello che fece Pilato, che le mani se le lavò mandando così Gesù al supplizio della croce (Mt 27, 24). “Sporcarsi le mani” significa “compromettersi” (come invece non ha fatto Pilato), quindi rischiare di doversi abbassare, di dover cambiare prospettive e progetti, di perdere la faccia non soltanto di fronte a se stessi ma anche di fronte agli altri. Non per niente la ά, “conversione”, evangelica è un “cambiamento di mentalità” e, di conseguenza, di percorsi. La Bibbia è uno specchio molto pericoloso: ti farà vedere di te quello che non vorrai, più esattamente: la frantumazione della bella immagine di te che ti eri con tanto tempo e fatica costruito. Le Scritture mandano in crisi, è vero, ma in greco sta per “giudizio” come pure significa “scelta, decisione, fase decisiva nell’evolversi di una malattia” e deriva dal verbo , presente ben 114 volte nel Nuovo Testamento, che si può tradurre concettualmente con: non giudicare gli altri, non criticarli, distingui il bene dal male, processa piuttosto te stesso, lasciati correggere e curare dal Signore. Chi non va in crisi non cresce. Chi non dubita mai, non crede veramente: se la racconta soltanto…

Paola Meroni è una di quelle persone che il coraggio di sporcarsi le mani con la Bibbia ce l’ha avuto. E l’ha voluto fare anche attraverso una raccolta di poesie dal titolo paradigmatico: Cerco il tuo volto, Signore. Questa sua palese dichiarazione d’intenti affonda le proprie radici nel testamento profetico di Mosè rabbenu, “nostro maestro”: «Cercherai il Signore, tuo Dio, e lo troverai, se lo cercherai con tutto il cuore e con tutta l’anima» (Dt 4, 29), che è poi il motivo conduttore dell’intero libro dei Salmi, per non dire che sta al cuore stesso delle Sacre Scritture tutte. «Voglio incontrare il tuo sguardo» supplica “Un uomo di nome Zaccheo” e continua: «Oggi ti cerco, / seguo il desiderio che mi hai posto nel cuore». Perché le cose più vere sono anche le più semplici: la misericordia divina ci precede sempre. Il desiderio di incontrare Dio nasce dalla scintilla divina che l’Eterno ha posto in noi e che brama soltanto di ricongiungersi con il suo Intero. Noi possiamo, se lo vogliamo, tentare di soffocare questa scomoda fiamma, che intralcia i nostri umanissimi progetti, senza mai però riuscire a domarla completamente, sinché siamo in questa vita. Perché non è nostra, ci abita. Confessa gridando il profeta Geremia: Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza e hai prevalso. […] Mi dicevo: «Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!» Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo (Ger 20, 7-9). Noi nella nostra libertà possiamo ribellarci, rifiutare, differire, ma per nostra fortuna non possiamo impedire all’infinito l’azione della grazia che si ripresenta sempre davanti a noi. Davvero troppo faticoso. Non ci resta che arrenderci. «Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia» afferma san Paolo (Rm 5, 20). Sono le braccia sempre spalancate del Padre in quelle del Figlio. Occorre esserne consapevoli, e realistici: «Figlio, se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione» ammonisce il Siracide (Sir 2, 1). Neanche Gesù ne è stato esente (Mt 4, 1-11). E difatti proprio da qui comincia l’Autrice con la poesia “Questa è la tentazione” che si conclude così: «Il peggiore di tutti i mali per l’uomo: / volerti non-Dio». Cosa significa “volerti non-Dio”? Vuol dire rovesciare Genesi 1, 27: non l’essere umano creato da Dio a sua immagine, ma una divinità creata dall’uomo a immagine propria. Una sorta di dio pagano con tutte le debolezze e nefandezze umane. Non l’essere umano che compie il progetto del suo Creatore, ma l’umano delirio di onnipotenza che vuol piegare, sottomettere alla propria volontà quella divina. Quante volte il Nome ineffabile di Dio è stato abusato? Quanti i decreti di morte messi sulla Sua bocca? Quante le guerre “sante”, come se potesse esserci una qualunque santità nell’uccidere? Quanti i milioni di assassinati in nome del Signore della vita? Che l’atto del pentirsi e il voler fare ritorno a Dio תשובה) , teshuvah, la conversione nell’accezione ebraica)1 siano una grazia che previene la nostra stessa libera scelta è anche in un detto islamico della mistica e asceta Rābi’a al-‘Adawiyya di Baṣra (Iraq, VIII sec.), madre del sufismo. Un uomo disse a Rābi’a: «Ho commesso molti peccati e molte trasgressioni: ma se mi pento Dio mi perdonerà?» Disse [Rābi’a]: «No. Tu ti pentirai se egli ti perdona.»2 E altrove: Le fu posta questa domanda: «Se uno dei servi di Dio si pente, è accetto il suo pentimento?» «Se Dio non gli concedesse il pentimento, come potrebbe pentirsi?»3 Le meditazioni poetiche di Paola Meroni prendono lo spunto da versetti sia del Primo che del Nuovo Testamento, a volte dando voce al o alla protagonista dell’attimo che viene man mano colto e quindi relegando il ruolo dell’Autrice a quello di una sorta di testimone, di interprete del Davàr, la Parola/evento; altre volte invece è la sua voce in prima persona che si inserisce nel contesto

1 Alla lettera appunto “ritorno [a Dio]”.

2 I detti di Rābi’a, a cura di Caterina Valdrè, Adelphi, Milano 1979, p. 37 XII 2.

3 Ibidem, p. 60 XVI 25.

risuonando nella sua vita, nel nostro tempo. In definitiva si opera una sovrapposizione e fusione di voci che si fa rimando e coralità. Possiamo così agevolmente rintracciare nella struttura della silloge le tappe tradizionali della lectio divina. Alla base c’è senz’altro una consolidata abitudine alla scrutatio, la lettura letterale del testo fatta con somma attenzione per percepirne l’effettivo significato; poi c’è la meditatio, la riflessione simbolica che diventa oratio, preghiera senza più veli. Mentre la contemplatio è, per sua stessa natura, appena sfiorata, sussurrata in un rimando di allusioni e la ritroviamo in versi come: «Tu, unico mio conforto, unico mio aiuto nella tempesta / …anche se resti in muto silenzio, anche se tieni nascosta al mio sguardo / la tua bellezza / e le lacrime / offuscano i miei occhi» (“Da chi andremo?”); «Non il transito fulmineo / di ciò che accade / e già più non è, / ma il permanere / sedimentato nel fondo» (“Custodire è il tuo verbo”); «Silenzio / profondo e avvolgente. / Buio / morbido come abbraccio / di madre che consola un dolore […]. / In un angolo / di questo spazio ora / come il centro dell’universo […], / mi affido all’Onnipotente, / a quella Parola consegnata / alle generazioni, speranza viva d’Israele. / Un barlume di luce sottile / giunge a interrogare la mia fede, / sollecita il mio fiat / come nel primo giorno, / come nuova creazione» (“In questa notte a Nazareth”); «spazio di colloquio intimo / con colui che intesse / il più sublime disegno /di salvezza» (“Nel cammino denso d’attesa”), in quel nostro ritrarsi «fin dentro a una povera stalla / dove l’anima / trovi riposo» (“Cammino di luce”).

L’Autrice percorre e ripercorre a ritroso la storia della salvezza e in particolare i racconti della passione di Gesù attraverso le eterne domande aperte dalla teodicea, con la partecipazione appassionata alle sofferenze del Maestro, a quel «Mistero indecifrabile». Di volta in volta si fa eco di tutti: «Noi, gli emarginati, i diversi, / fratelli minori, / poveri, storpi, donne, bambini, / moltitudine di perdenti, / molteplicità di solitudini» (“Accanto a te, Signore”). Canta e suona con Miriam, sorella di Mosè e Aronne, che «muoveva il vento dei suoi sorrisi / e il deserto fioriva / di nuova speranza (“Danzava Miriam”). Condivide il gioioso abbraccio di Elisabetta e Maria; guarda con trepidazione alla «scia luminosa / che guida il cammino / nella notte buia del mondo, / luce ai pastori, ai Magi sapienti» (“Cammino di luce”). Dà voce al silenzio di Giuseppe attraverso il ritmico avanzare dell’esilio: «Zoccoli d’asino scandiscono / il tempo del dolore, / il tempo della fuga / verso luoghi d’incertezza. […] Altri padri, altre madri / conducono i figli nel deserto, / attraversano mari profondi d’insidie / a cercare salvezza dal male, / a tessere sentieri di pace. / […] Le stelle riempiono a frotte / un cielo straniero» (“Alzati e fuggi in Egitto”). Affronta le contraddizioni di Simon Pietro che sono proprio le nostre, quelle d’ogni credente il quale non può che gridare al Cielo: «Soccorri la nostra fragilità» (“Accanto a te, Signore”), con un’unica consapevolezza: non ci resta che «Aprire le mani al dono / che non chiede nulla in cambio» (“Pane del cielo”), in quell’ «abbraccio ultimo che promette nuova vita» (“Luce ai nostri passi”). Paola Meroni con il suo “Beati i poveri” ci ricorda, in definitiva, che la Montagna sta sempre lì e ci invita a mescolarci alle moltitudini in ascolto proprio là dove il Maestro ci aspetta ancora, ben sapendo che «chi accoglieva le sue Beatitudini, / si apriva all’uragano / che stravolge l’esistenza, / chiede la svolta senza ritorno

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