«Per Tari la musicalità si dipana nel Divenire, anzi è il Divenire stesso che costituisce l’essenza della musicalità, in un viluppo complesso, in bilico tra estetica e metafisica, che confonde, fino a fondere, Divenire e musicalità. (…) Per Tari quando è richiesta e ricercata, sotto l’impeto del sentimento, l’essenza artistica del fenomeno, alla sensibilità non basta più cogliere le forme “esterne” del fenomeno, ma deve intervenire la musicalità a mediare, in modo del tutto immediato, Natura e Idea. Alla musicalità è richiesta, cioè, quello che ad altre arti, come ad esempio le arti plastiche, non è affatto richiesto. Le arti plastiche, nella loro opaca cristallizzazione del fenomeno-Apparenza, permettono all’artista di riconoscersi in quell’opera; mentre la Musicalità, trasportando il fruitore nella liquida trasparente fluidità del Divenire, esige prepotentemente un “sacrificio”: è il sacrificio di sé, il sacrificio di perdersi nella potenza che supera il fenomeno e, trasportato al di là della significazione umana, perdersi in “cosmiche significazioni”. (…) Lo scarto, la differenza, fra la Musica e le altre arti si fanno più netti e più chiari, nella musica: solo nella Musica lo strumento e il fine coincidono, solo nella Musica il suono è strumento e scopo stesso della musica. (…) Questo il sogno cui tendeva Tari, musicista e filosofo: il musicista non è altro che un filosofo i cui pensieri prendono forma musicale».